International Labour Organization (ILO)*
Nel rapporto dell’ILO la fotografia della schiavitù moderna: tocca 22 milioni di persone e tutti i Paesi, 14,9 milioni sono donne
La schiavitù moderna, come definita ai fini delle stime globali, comprende due componenti principali: il lavoro forzato e il matrimonio forzato. Entrambi si riferiscono a situazioni di sfruttamento che una persona non può rifiutare o non può abbandonare a causa di minacce, violenze, coercizione, inganno o abuso di potere.
Il flagello della schiavitù moderna non è stato affatto relegato alla storia. Le stime globali del 2021 indicano che ogni giorno ci sono 50 milioni di persone in questa condizione, costrette a lavorare contro la propria volontà o costrette in un matrimonio forzato. Ciò si traduce in 6,4 persone ogni mille, nel mondo: più di 12 milioni sono bambini, donne e ragazze costituiscono oltre la metà (54%); i numeri maggiori sono nella regione dell’Asia e del Pacifico, negli Stati arabi si registra l’incidenza più alta. Ma nessuna regione, ricca o povera, viene risparmiata.
La situazione sembra peggiorare, in parte trainata dalle onde d’urto sociali ed economiche emanate dalla pandemia mondiale di Covid-19 tuttora in corso. Un semplice confronto con le precedenti stime globali indica un aumento di 9,3 milioni di persone in schiavitù moderna nel periodo compreso tra il 2016 e il 2021: entrambe le categorie – lavoro forzato e matrimonio forzato – hanno contribuito all’incremento complessivo.
Matrimonio forzato
Il matrimonio forzato si riferisce a situazioni in cui una persona è stata costretta a sposarsi senza il suo consenso. È una pratica complessa e fortemente di genere: sebbene anche uomini e ragazzi siano costretti a sposarsi, colpisce prevalentemente donne e ragazze. Si verifica in ogni regione del mondo e attraversa linee etniche, culturali e religiose. È una violazione dei diritti umani e una pratica che porta a infliggere danni o sofferenze fisiche, mentali o sessuali; ha conseguenze sia a breve che a lungo termine e un impatto negativo sulla capacità degli individui di realizzare i propri pieni diritti. Nel quadro dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, tutti gli Stati membri dell’ONU si sono impegnati a eliminare i matrimoni infantili, precoci e forzati (obiettivo 5.3).
Come stabilito nella raccomandazione generale congiunta del Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione della discriminazione contro le donne (CEDAW) e del Comitato per i diritti dell’infanzia (CRC), il matrimonio precoce è considerato una forma di matrimonio forzato, dato che uno e/o entrambe le parti non possono esprimere il consenso pieno, libero e informato; tuttavia, in molti Paesi gli individui di 16 e 17 anni che desiderano sposarsi sono legalmente in grado di farlo, a seguito di una sentenza giudiziaria o con il consenso dei genitori.
Ai fini di queste stime, quindi, la misurazione del matrimonio forzato è limitata ai matrimoni, sia di adulti che di bambini, che gli intervistati hanno segnalato come forzati e senza consenso; di conseguenza, non includono tutti i casi di matrimonio precoce, poiché non è attualmente misurato adeguatamente alla scala o alla specificità richiesta per una stima globale.
Panoramica e tendenze
Nel 2021, circa 22 milioni di persone vivono in matrimonio forzato, quasi tre individui su mille nel mondo; 14,9 milioni sono donne e ragazze.
A livello globale, il numero è aumentato di 6,6 milioni tra il 2016 e il 2021. Durante questo periodo, la prevalenza del matrimonio forzato è passata dal 2,1 al 2,8 per mille. Parte della raccolta dei dati per le stime globali 2021 è avvenuta prima dello scoppio della crisi Covid-19, quindi i risultati riflettono solo parzialmente gli effetti della pandemia. Sono stime considerate prudenti per diversi motivi, non ultimo il fatto che il matrimonio forzato qui presentato si basa su una definizione ristretta e non include tutti i matrimoni precoci: l’UNICEF stima che oggi circa 650 milioni di donne e ragazze si siano sposate prima dei 18 anni.
L’aumento dei matrimoni forzati è in parte spiegato dall’aggravarsi delle crisi, tra cui la pandemia di Covid-19, i conflitti e il cambiamento climatico. Crisi che hanno portato a un incremento senza precedenti della povertà estrema, tassi di istruzione più bassi, crescita della migrazione di emergenza e un aumento significativo delle segnalazioni di violenza di genere. Tutti questi fattori sono associati a una maggiore vulnerabilità al matrimonio forzato.
In alcuni Paesi colpiti da conflitti armati, donne e ragazze vengono rapite e vendute da gruppi armati e obbligate a sposare combattenti, subendo ogni tipo di abuso sessuale, fisico ed emotivo. I trafficanti traggono vantaggio dalle diffuse perdite umane, materiali, sociali ed economiche e dalle conseguenti vulnerabilità causate dalle emergenze. In contesti di conflitto e post-conflitto, il matrimonio forzato viene utilizzato anche come meccanismo di sopravvivenza: le famiglie in fuga da guerre che devono far fronte all’insicurezza fisica ed economica, possono vedere nel matrimonio un modo per alleviare la povertà e proteggere le parenti femminili da condizioni di vita difficili; allo stesso modo, possono cadere preda dei trafficanti che affermano di offrire un posto più sicuro in cui vivere e opportunità di lavoro. Inoltre, in contesti di guerra gli uomini possono sottostimare le loro esperienze di matrimonio forzato, per evitare di essere accusati di debolezza o devianza sociale, comprese le accuse di omosessualità nei Paesi in cui è vietata illegalmente o ampiamente disapprovata.
Nel marzo 2022, il Global Protection Cluster, una rete di ONG e organizzazioni internazionali impegnate nella protezione e nella risposta alle crisi, ha segnalato un forte aumento dei “matrimoni infantili, precoci o forzati” nelle crisi umanitarie rispetto alla situazione di sei mesi prima: il 52% delle operazioni di cluster nazionali ha segnalato la situazione come grave o estrema, rispetto al 42% di settembre 2021.
I matrimoni forzati hanno luogo in ogni regione del mondo. Quasi due terzi, circa 14,2 milioni di persone, sono in Asia e nel Pacifico; segue il 14,5% in Africa (3,2 milioni) e il 10,4% in Europa e Asia centrale (2,3 milioni). Quando si tiene conto della popolazione regionale, gli Stati arabi sono la regione con la prevalenza più alta, con il 4,8 per mille, seguiti dall’Asia e dal Pacifico con il 3,3 per mille; le Americhe hanno la più bassa prevalenza, con l’1,5 per mille.
Il Covid-19 ha aumentato il rischio di matrimoni forzati in ogni regione. La raccolta di statistiche ufficiali, compresi i sistemi di registrazione civile, è stata interrotta durante la pandemia a causa di restrizioni alla mobilità, considerazioni etiche e di sicurezza, ritardi nei servizi di risposta o de-priorizzazione. Laddove i dati sono disponibili, sono stati segnalati incrementi in Afghanistan, Bangladesh, India, Indonesia, Sudan, Egitto, Yemen, Giordania, Senegal, Uganda e Repubblica Democratica del Congo.
In altre parti del mondo sono aumentate le chiamate alle hotline dedicate a questa pratica. Nel Regno Unito sono cresciute nei primi giorni della pandemia nel 2020, prima di tornare ai tassi pre-pandemia nel 2021. Lo stesso vale per le hotline specifiche per bambini, che hanno visto un raddoppio delle segnalazioni in alcune parti del Malawi e del Mozambico.
Tre persone su cinque costrette a sposarsi si trovano in Paesi a reddito medio-basso. Tuttavia, le nazioni più ricche non sono immuni, con il 25% dei matrimoni forzati nei Paesi a reddito alto o medio-alto. La prevalenza è maggiore nei Paesi a reddito medio-basso (4,8 per mille), seguiti da quelli a basso reddito (3,3 per mille) e ad alto reddito (1,5 per mille).
La vulnerabilità sarà esacerbata dalla ripresa irregolare dalla pandemia: si prevede che i Paesi a basso reddito degli Stati arabi, delle Americhe, dell’Africa, dell’Asia e delle regioni del Pacifico avranno una ripresa più lenta, e ciò può comportare rischi più forti di matrimoni forzati e precoci.
Più di due terzi di coloro che sono costretti a sposarsi sono di sesso femminile. Ciò equivale a circa 14,9 milioni di donne e ragazze. In tutte le regioni la prevalenza femminile è più alta rispetto a quella maschile, ma vale la pena sottolineare che uomini e ragazzi costituiscono il 32% del totale. Sono necessarie ulteriori ricerche per meglio comprendere come essi lo vivano.
Il matrimonio forzato è spesso sostenuto da norme patriarcali che emergono nella prima adolescenza ma giocano un ruolo in ogni fase della vita delle donne. In molte parti del mondo si ritiene che il valore di una ragazza risieda nel suo futuro ruolo di madre e moglie e, in quanto tale, essa abbia poco valore economico per la sua stessa famiglia. L’idea è rafforzata dalle leggi sulla successione, che spesso portano uomini e ragazzi a ereditare i beni familiari. Per le famiglie con scarse risorse, il ruolo futuro di un figlio come capofamiglia e la percezione del suo maggiore potenziale di guadagno fa sì che la sua istruzione sia prioritaria rispetto a quella di una figlia.
Due su cinque delle persone costrette a sposarsi erano bambini quando il matrimonio ha avuto luogo. Tra loro, il 41% aveva meno di 16 anni e le ragazze erano più numerose dei ragazzi (87% contro 13%). Sebbene si verifichino matrimoni di età inferiore ai 10 anni, sono molto rari: l’età più bassa riportata nel campione è di 9 anni e la più alta di 69.
Circostanze relative ai matrimoni forzati
I matrimoni forzati si verificano in ogni regione del mondo e attraversano linee etniche, culturali e religiose. I molti fattori che li determinano sono strettamente legati ad atteggiamenti e pratiche patriarcali di vecchia data e sono altamente specifici del contesto. Ragazze e donne sono costrette a sposarsi in cambio del pagamento alle loro famiglie, della cancellazione di debiti o per risolvere controversie familiari.
Svolgono un ruolo anche le norme religiose e sociali fondamentaliste, che stigmatizzano il sesso pre-matrimoniale e limitano l’accesso ai diritti alla salute sessuale e riproduttiva. In Nord America sono stati segnalati matrimoni forzati tra le sette religiose conservatrici, e in alcuni Stati degli USA i giudici possono rilasciare licenze di matrimonio per ragazze di età inferiore ai 15 anni, in caso di gravidanza. In alcune società, uno stupratore può sfuggire alle sanzioni penali sposando la vittima, di solito con il consenso della sua famiglia.
Il matrimonio forzato si interseca anche con la migrazione e la tratta di esseri umani. Mentre molte persone migrano volontariamente per matrimonio, la migrazione può creare situazioni di vulnerabilità che possono essere sfruttate per sottoporre un individuo al matrimonio forzato: le persone possono essere intenzionalmente ingannate o, una volta emigrate o durante il viaggio, finire in situazioni in cui non possono scappare. Le ragazze e le giovani donne costrette a sposarsi (matrimonio precoce o infantile) possono emigrare per sfuggire ai mariti o ai genitori. Nei Paesi ad alto reddito, donne e ragazze sono costrette a sposare uomini stranieri per motivi culturali o per assicurarsi l’ingresso di un’altra persona nel Paese.
I membri della famiglia sono i principali responsabili dei matrimoni forzati. La maggior parte delle persone è stata costretta dai genitori (73%) o da altri parenti (16%); il 4% delle donne del campione è stato obbligato da un mediatore matrimoniale.
I modi in cui una persona è forzata vanno da azioni esplicite, come la violenza fisica o sessuale o l’essere trattenuta fisicamente, alla pressione emotiva. La metà del campione è stata costretta con minacce emotive o abusi verbali, che includono l’uso di ricatti: per esempio, i genitori minacciano autolesionismo o affermano che la reputazione della famiglia sarà rovinata, o l’allontanamento dalla famiglia. Quest’ultima è la forma più comune di coercizione usata sia con i maschi (75%) che con le femmine (46%); la violenza fisica o sessuale e le minacce di violenza sono la seconda modalità (20%). Tra le donne, un ulteriore 11% ha riferito di essere stata rapita o costretta a viaggiare all’estero a scopo di matrimonio.
Le femmine sono state più propense dei maschi nel dichiarare di essere state obbligate dal coniuge, o dalla famiglia del coniuge, a svolgere un lavoro. Il 32% degli intervistati ha parlato di lavori domestici, il 25% nella propria casa e il 6,5% nelle abitazioni di altri membri della famiglia o della comunità; un ulteriore 8% delle donne ha riferito di essere stata costretta a lavorare in un’azienda di proprietà del coniuge o della famiglia del coniuge. Oltre la metà (57%) ha invece affermato di non essere costretta a svolgere lavori o mansioni: è probabile che sia una errata valutazione, poiché difficilmente coloro che vivono un matrimonio costretto considerano ‘forzati’ il controllo o la coercizione a condurre determinate attività all’interno del matrimonio stesso.
*Estratto dal Rapporto Global Estimates of Modern Slavery. Forced Labour and Forced Marriage, ILO, Walk Free e IOM, 12 settembre 2022, pubblicato sotto diritti Creative Commons Attribution 4.0 International License; questa è la seconda parte del Rapporto, la prima (Il lavoro forzato) è stata pubblicata su Paginauno n. 79, ottobre-novembre 2022. Traduzione a cura di Paginauno. “Questa traduzione non è stata creata dall’ILO, Walk Free o IOM e non deve essere considerata una traduzione ufficiale dell’ILO, Walk Free o IOM. ILO, Walk Free e IOM non sono responsabili del contenuto o dell’accuratezza di questa traduzione. Questo è un adattamento di un’opera originale dell’ILO, Walk Free e IOM. La responsabilità per i punti di vista e le opinioni espresse nell’adattamento spetta esclusivamente all’autore o agli autori dell’adattamento e non sono approvati da ILO, Walk Free o IOM.”