Guido La Barbera*
Brzezinski e Kissinger sull’Ucraina. A partire da La grande scacchiera, due politiche estere a confronto nella gestione degli interessi vitali delle potenze: Stati Uniti, Russia e Cina
“Ma, Zbig, quante volte puoi mettere uno stecco nell’occhio alla Russia, senza che reagisca? Noi abbiamo preso l’abitudine, negli anni della debolezza russa sotto Eltsin, di mettergli le dita negli occhi un sacco di volte, facendola franca. Non sta finendo quel periodo? Non dobbiamo prenderli sul serio quando dicono «Questo è fondamentalmente contrario ai nostri interessi e resisteremo»?”
Così David Ignatius del Washington Post, terza voce in America and the World del 2008, libro intervista con Zbigniew Brzezinski e Brent Scowcroft, il primo consigliere per la sicurezza nazionale per Jimmy Carter, il secondo per George Bush e Gerald Ford, nonché consigliere militare di Richard Nixon. Da quella dialettica tra due decani della politica estera dell’imperialismo americano emergevano con nettezza due linee nei confronti dell’imperialismo russo e delle sue ambizioni a riprendere il controllo, nel “vicino estero”, dello storico dominio dell’impero zarista.
Brzezinski risolutamente a favore dell’inclusione dell’Ucraina nella NATO.
Scowcroft contrario, sulla falsariga delle obiezioni che erano anche di Henry Kissinger: i legami storici e identitari della Rus’ di Kiev col potere moscovita; la divisione dell’Ucraina tra un Ovest filo-occidentale e un Est russificato.
L’imperialismo europeo vi compariva solo sullo sfondo: Scowcroft a ricordare la contrarietà europea a un’azione così intrusiva nei confronti della Russia e a lamentare la confusa sovrapposizione tra l’ambito della Ue e quello della NATO; Brzezinski a impugnare il fatto che sulla questione ucraina gli europei erano “divisi”.
La linea Brzezinski aveva un lungo tracciato alle sue spalle. Il libro La grande scacchiera, del 1997, è il suo intervento più significativo negli anni Novanta; vi traspare l’intento d’influenzare la politica americana nel secondo mandato di Bill Clinton. Alla luce di quel testo, si può considerare Brzezinski come uno dei principali teorizzatori del momento unipolare dell’imperialismo americano, tesi trionfalista in voga negli anni Novanta in seguito al crollo dell’URSS nella cesura strategica del 1989-91.
Thierry de Montbrial, nell’annuario Ranises 2023 dell’IFRI, sostiene che La grande scacchiera ebbe un’influenza “immensa”. Vede inverata la linea Brzezinski negli orientamenti dell’amministrazione Biden e nella risultante della guerra d’Ucraina, là dove l’ex consigliere di Carter riprendeva l’impianto geopolitico di Halford Mackinder combinato con l’eccezionalismo americano. Gli Stati Uniti avrebbero confermato il ruolo di unica superpotenza e di impero universale basato sui valori di libertà, democrazia e progresso economico se avessero giocato sulla “scacchiera” del continente eurasiatico, impedendo che vi si affermassero una potenza o una coalizione egemone ostili. In quella visione, riassumiamo noi, nella falsa coscienza che identificava gli interessi americani con lo sviluppo globale nella democratizzazione – oggi si direbbe con l’ordine liberale – si trattava di tenere gli avversari divisi per tenere il mondo unito, appunto attorno ai valori che rivestivano l’egemonia americana.
In quel contesto, Brzezinski prospettava l’estensione della NATO e dell’Unione Europea verso Est, sino a contemplare l’inclusione dell’Ucraina; una Ue però “euroatlantica”, legata organicamente agli Stati Uniti e comunque, almeno nel tempo prevedibile di una generazione, limitata a un livello d’integrazione non in grado di impensierire Washington. La saldatura dell’Ucraina all’Occidente era la carta per condizionare Mosca. Senza l’Ucraina, la Russia non sarebbe stata più “un impero” e non avrebbe potuto isolare sotto il suo dominio le repubbliche del Caucaso e dell’Asia centrale. Attraverso l’Ucraina incardinata in un “Occidente allargato” o “grande Occidente”, Mosca sarebbe stata indotta ad agganciarsi al processo di democratizzazione occidentale.
Brzezinski alla superficie era critico con la storica ambivalenza americana nei confronti dell’integrazione politica europea; sosteneva che essa andava semmai sviluppata con un ruolo attivo degli Stati Uniti, riorganizzando la NATO su due pilastri dell’Alleanza Atlantica. Va trattenuto però che La grande scacchiera prospettava più un’integrazione transatlantica che una reciprocità, e comunque faceva intravedere un processo che avrebbe richiesto più di una generazione, mentre sarebbe proseguito l’allargamento a Est.
In questo senso era concepita e incoraggiata la relazione tra Unione Europea e Russia. Per un verso era una Ue incardinata nella relazione atlantica, per cui ogni sua espansione – in sostanza accompagnata o preceduta dall’allargamento della NATO – sarebbe stata un’espansione dell’influenza americana. Per l’altro verso, la Russia sarebbe stata depotenziata dall’adesione dell’Ucraina alla Ue e alla NATO, dunque ricondotta a un ruolo regionale, e non paritario, nella confluenza col grande Occidente allargato. In questo senso, allora, l’alleanza tra Europa e Russia non sarebbe stata la minaccia di una coalizione ostile in grado di controllare l’heartland – il cuore continentale dell’“isola mondiale” nell’immaginario geopolitico di Mackinder – ma l’esercizio della bilancia americana sullo scacchiere eurasiatico, a equilibrare la Cina sul fronte orientale dell’Eurasia.
Nel testo La grande scacchiera Brzezinski analizza le prospettive per la Russia valutando tre diverse “scuole di pensiero”, che considera tutte non confacenti ai reali rapporti di forza in cui si trovava Mosca…
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*Articolo pubblicato su Lotta comunista, n. 626, ottobre 2022