International Labour Organization (ILO)*
I salari in Italia. Nel rapporto dell’ILO la fotografia dell’impoverimento che ben conosciamo: i numeri e il confronto con gli altri Paesi
L’aumento dell’inflazione sta riducendo drasticamente i salari reali in Italia
Per la prima volta in questo secolo, i salari reali sono diminuiti su scala mondiale (-0,9%) nella prima metà del 2022. In Italia, l’impennata inflazionistica ha eroso i salari, producendo una riduzione di quasi 6 punti percentuali, più che doppia rispetto alla media europea (Grafico 1, pag. 35). Questo ‘effetto inflazione’ segue un periodo di crescita più che modesta delle retribuzioni mensili nel periodo 2020-2021 di 0,1 punti percentuali (effetto pandemia), rispetto agli 1,7 punti della media dei Paesi dell’Unione europea (Ue-27).
L’inflazione ha iniziato a manifestarsi tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022, subito dopo la riduzione delle misure adottate per mitigare l’impatto della crisi innescata dalla pandemia di Covid-19. Il Grafico 2 (pag. 36) mostra che nel secondo trimestre del 2022 le retribuzioni orarie reali in Italia sono diminuite di quasi il 6% rispetto al loro valore reale nel primo trimestre del 2019. Questo ha causato una perdita del potere d’acquisto di lavoratori e famiglie che potrebbe ulteriormente ridursi, stando alle previsioni di crescita dell’inflazione in Italia (+12,5%) e alla media per i Paesi dell’Eurozona (+10%) (1).
La crescita della produttività, e in particolare della produttività reale del lavoro, è un fattore determinante per la crescita dei salari reali (2). A livello globale, la crescita media dei salari è rimasta indietro rispetto alla crescita media della produttività del lavoro fin dai primi anni Ottanta. Per la media dei Paesi Ue, sia la produttività del lavoro che i salari reali sono cresciuta in quasi tutti gli anni – tranne che durante la crisi finanziaria globale e la recente crisi da Covid-19 (Grafico 3, pag. 37).
Durante il periodo 1999-2022, la produttività del lavoro dei Paesi Ue-27 è cresciuta del 21,5% e quella dei salari reali del 17,6% (il 3,9% in meno della produttività del lavoro). Nello stesso periodo, sia la produttività del lavoro italiana che i salari reali sono diminuiti, in particolare durante il periodo 2011-2019. Nel 2020 sono calati sia la produttività del lavoro che i salari, per effetto del rallentamento dell’attività economica dovuto alla pandemia di Covid-19, mentre nel periodo 2021-2022 si registra un leggero recupero della perdita del 2020. Complessivamente, nel periodo 1999-2022 la produttività del lavoro e i salari sono diminuiti in Italia rispettivamente del 4,8 e del 7,3%. Tra il 2021 e il 2022 si registra una controtendenza caratterizzata da una crescita della produttività (95,2% nel 2022) e una diminuzione dei salari reali (92,7% nel 2022), con un divario salari-produttività del 2,5%.
Un’analisi della produttività per ora lavorata mostra che questa è rimasta superiore alla crescita dei salari per la gran parte del periodo 2005–2022, mentre i salari reali sono diminuiti del 6%. Una delle ragioni del divario della produttività del lavoro italiana rispetto alla media Ue è l’alta concentrazione di lavoro a basso valore aggiunto. Un’altra ragione è correlata alla precarietà del mercato del lavoro e agli scarsi investimenti nella formazione della forza lavoro. Un altro fattore che influenza la dinamica complessiva della produttività è il divario Nord-Sud, con il Sud meno sviluppato in termini industriali e relativamente a più bassa densità di settori e occupazioni a più alto valore aggiunto rispetto al Nord.
Gli impatti legati alla pandemia e all’inflazione si combinano con una tendenza di lungo periodo di riduzione dei salari reali in Italia di 12 punti percentuali nel periodo 2008-2022
L’analisi dell’evoluzione degli indici dei salari reali durante il periodo 2008-2022 mostra una crescita dei salari nella maggior parte dei Paesi Ue. Il Grafico 4 (pag. 38) evidenzia che la crescita maggiore si è registrata nei Paesi Ue dell’Europa centrale. Durante il suddetto periodo, i salari sono cresciuti del 72% in Ungheria, del 36% in Polonia e del 25% in Slovacchia. Anche in Francia e in Germania i salari sono aumentati rispettivamente del 6 e del 12%.
Per quanto riguarda l’Italia, se si prendono come base i salari del periodo immediatamente precedente al manifestarsi della crisi economica e finanziaria globale, l’indice dei salari reali del 2022 indica una perdita di 12 punti percentuali, doppia rispetto alla Spagna – l’altro Paese europeo in cui i salari sono diminuiti di 6 punti percentuali.
Le stesse tendenze possono essere osservate sugli andamenti dei salari reali dell’Italia rispetto agli altri Paesi ad economia avanzata del G20, che hanno beneficiato di un aumento dei salari in termini reali tra il 2008 e il secondo trimestre del 2022, eccetto il Giappone, il Regno Unito e l’Italia. La contrazione dei salari italiani è sei volte maggiore rispetto a quella del Giappone e tre volte maggiore rispetto a quella del Regno Unito (Grafico 5, pag. 39).
Le crisi legate alla pandemia e all’inflazione hanno un impatto maggiore su lavoratori e lavoratrici con bassi salari
La combinazione tra perdita di lavoro e riduzione di ore lavorate durante la pandemia ha causato una crescita di quasi un punto percentuale della proporzione di lavoratori e lavoratrici a bassi salari, che in Italia è passata dal 9,6% del 2019 al 10,5% del 2020 (Grafico 6, pag. 40) (3).
La proporzione di lavoratrici, in genere più presenti rispetto ai lavoratori in lavori a bassa retribuzione, è aumentata di più di un punto percentuale (dal 10,7% nel 2019 a 11,8% nel 2020).
L’età è un’altra caratteristica personale che influisce sui livelli salariali. Durante la pandemia, l’alta percentuale di giovani già presenti tra i lavoratori con basse retribuzioni, è ulteriormente cresciuta di quasi un punto tra il 2019 e il 2020, anche se la crescita maggiore si è registrata tra i lavoratori di età compresa tra i 35 e i 50 anni (+1,2%).
Anche l’area geografica nella quale si è occupati ha un impatto sulla proporzione di lavoratori con bassa retribuzione, i quali sono più presenti nell’Italia del Sud (circa 14%), anche se gli incrementi maggiori si sono registrati nell’Italia centrale (+1,5%) e del Nord (+1,4%).
Sulla base della tipologia di contratto, i lavoratori a tempo indeterminato con basse retribuzioni sono aumentati (+1,2%) rispetto a quelli a tempo determinato (+0,8%), il cui numero è quasi doppio rispetto ai primi. L’incremento del numero di lavoratori a bassa retribuzione è stato invece lo stesso tra i lavoratori a tempo pieno e quelli a tempo parziale (+0,9%).
Anche l’inflazione ha un impatto maggiore su lavoratori e lavoratrici con reddito medio-basso.
La narrativa sulla crescita dell’inflazione spesso considera che l’aumento del costo della vita colpisca le famiglie in maniera uguale. Il Rapporto mostra, tuttavia, che l’inflazione può avere un impatto maggiore sul costo della vita delle famiglie a basso reddito, a causa dell’utilizzo della maggior parte del reddito disponibile per la spesa in beni e servizi essenziali. Questi ultimi, in genere, subiscono un incremento di prezzo maggiore rispetto ai beni non essenziali.
Anche i dati relativi all’Italia evidenziano che i beni e servizi primari sono stati maggiormente intaccati dall’inflazione. Il Grafico 7 (pag. 41) mostra la crescita dei prezzi dei beni di prima necessità a partire dal 2021, con un’impennata nel 2022. Gli incrementi maggiori si sono registrati riguardo ai costi relativi alle spese per alloggi e trasporti, maggiori rispetto all’andamento generale dell’indice dei prezzi al consumo (IPC), mentre le spese per generi alimentari hanno seguito l’andamento a due cifre dello stesso indice.
Il divario salariale di genere è rimasto invariato durante il periodo 2019-2022
Il già ampio divario di genere relativo alla partecipazione nel mercato del lavoro si è ulteriormente acuito durante la pandemia, passando dal 17% del 2019 al 17,5% del 2021.
Durante lo stesso periodo, la perdita di lavoro delle lavoratrici (-2,3%) è stata maggiore rispetto ai lavoratori (-2,1%). Se misurato paragonando i salari medi di uomini e donne, il divario salariale sembrerebbe essere diminuito durante la crisi, ma ciò è dovuto alla maggiore perdita di lavoro di lavoratrici posizionate nella parte bassa della scala salariale, piuttosto che a un miglioramento dei loro salari. Una misurazione del divario sulla base del salario orario e del salario mensile indica che in Italia il divario salariale di genere è rimasto sostanzialmente immutato rispetto al periodo pre-crisi, attestandosi intorno a 11% (se misurato in base ai salari orari) o al 16,2% (se basato sui salari mensili). Questa tendenza si allinea con la media del divario salariale di genere a livello globale, che è confermata stabile al 20%.
È probabile che se il divario retributivo di genere fosse stato misurato alla fine del 2020, i dati avrebbero mostrato una crescita rispetto all’anno precedente la crisi della pandemia. Tuttavia, il rapporto misura il divario retributivo di genere alla fine del 2021, quando il mercato del lavoro è tornato a livelli simili a quelli pre-pandemia.
Considerando che l’inflazione colpisce lavoratrici e lavoratori in modo simile, il ritorno alla normalità potrebbe spiegare perché il divario retributivo di genere è rimasto abbastanza stabile rispetto al 2019.
* Estratto del Rapporto L’impatto dell’inflazione e del COVID-19 sui salari in Italia, messaggi principali del Rapporto mondiale sui salari 2022/23, 2 dicembre 2022
1) Fonte: Eurostat, Euroindicators n. 133/2022, 30 novembre 2022
2) La produttività del lavoro è calcolata dividendo il prodotto interno lordo in termini costanti per il numero totale di lavoratori – salariati e non salariati
3) ILO identifica i lavoratori con basse retribuzioni sulla base di un indicatore che misura il numero di dipendenti la cui retribuzione oraria, in tutti i lavori, è inferiore ai due terzi della retribuzione oraria media, calcolata in percentuale