Giovanna Cracco e Alessandro Rettori
- (Paginauno n. 74, ottobre – novembre 2021)
- (pubblicato online il 5 agosto 2021)
Dentro i bilanci annuali di Ho Group: milioni di debiti, IVA e Irpef/Inps dipendenti non pagate, ma a fallire sono i (presunti) prestanome. Una ‘curiosa’ gestione societaria su cui dovrà far luce il commissario liquidatore
Chiarita la questione Venus, siamo rimasti con due aspetti da cercare di sbrogliare, tra loro collegati.
Il primo: ormai assodato che i debiti accumulati dalle società di Attardo, Borriello e Monteleone, prima di vendere le imprese a (presunti) prestanome e dileguarsi, non erano solo nei confronti dei lavoratori, di quanti soldi stiamo parlando? Il fallimento di BMA e la liquidazione coatta amministrativa di AMB e Ho Group, così come i bilanci annuali di quest’ultima, permettono di meglio inquadrare la situazione finanziaria del gruppo.
Il secondo: perché hanno spostato la sede legale delle cinque società – HPoint scarl, Ho Group, AMB, BMA e MBA – a Modena e hanno trasformato le quattro srl in cooperative?
Partiamo dal primo punto.
Milioni di debiti
Ho Group è la società fulcro, perché è la maggiore per fatturato tra quelle oggetto di questa inchiesta – a parte la consortile HPoint, che però la stessa Ho Group controlla con il 96% delle quote.
Il 12 marzo 2021 Ho Group è messa in liquidazione coatta amministrativa (LCA). Nell’atto del Ministero dello Sviluppo economico che ne decreta la LCA, si legge: “Emerge una condizione di sostanziale insolvenza in quanto, a fronte di un attivo circolante di euro 1.918.115,00, si riscontrano debiti a breve termine di euro 4.050.829,00 e un patrimonio netto di euro 390,00.” Insolvenza che è rilevabile anche “dall’impossibilità di onorare il piano di rateizzazione di contributi previdenziali e ritenute erariali in precedenza concordato e dalla presenza di decreti ingiuntivi, atti di precetto e atti di pignoramento”. In parole povere: Ho Group ha accumulato debiti per 4 milioni di euro e ha crediti da incassare per 1,9 milioni. Mancano 2 milioni all’appello. Non solo. Non avendo regolarmente pagato Inps e Irpef dei dipendenti, aveva negli anni passati concordato una rateizzazione, ma poi non l’ha rispettata; ed è già con le spalle al muro per decreti ingiuntivi e pignoramenti. Ha lo Stato e i creditori alle costole, insomma. Come minimo, si può dire che i tre soci Attardo, Borriello e Monteleone ci hanno messo un po’ di tempo a prendere atto della situazione. Abbiamo quindi analizzato i bilanci annuali della società, a partire dal 2012.
Occorre fare una premessa tecnica: i bilanci ufficiali depositati presso il Registro delle Imprese sono purtroppo – la legge lo consente – estremamente sintetici, e può esserlo anche la Nota integrativa allegata: salvo qualche dato obbligatoriamente da indicare, una società può decidere o meno di aggiungere dettagli più approfonditi sulla gestione di impresa, e genericamente non viene fatto: nessuna azienda ha piacere di rendere pubblici ‘i propri affari’. I bilanci di Ho Group non fanno eccezione. Tuttavia, qualche numero interessante si trova.
La società nasce nel 2011. Per dare un’idea della dimensione, da un fatturato 2012 pari a 2,5 milioni, Ho Group arriva a fatturare quasi 13 milioni al massimo della sua espansione nel 2018, con un utile sempre irrisorio: al netto di imposte, ogni anno è sotto i 15.000 euro. Già a partire dal 2014 inizia ad accumulare debiti con lo Stato: la voce “debiti tributari”, non meglio specificata, passa dai 46.000 euro del 2013 a più di 600.000 euro nel 2014. Il bilancio del 2015 può aiutarci a capire di cosa, presumibilmente, si tratta: IVA non pagata. Nel 2015 infatti la voce arriva a superare 1 milione di euro, e la Nota integrativa riporta: “Il debito è costituito principalmente, per euro 839.421, dal debito IVA dell’anno 2015, che sarà ravveduto entro settembre 2016”. La situazione negli anni peggiora anziché migliorare (1), fino ad arrivare alla cifra di quasi 2 milioni nel 2019. E non è più solo IVA. Dal 2018, stando alla Nota integrativa, a non essere pagate sono anche le “ritenute su redditi da lavoro dipendente”, ossia l’Irpef dei lavoratori, mentre il debito verso l’Inps, che corrisponde ai contributi Inps dei lavoratori, arriva a superare i 600.000 euro.
Sempre nel 2015 compare inoltre una voce “altri debiti” non meglio specificata, che progressivamente cresce fino a toccare quasi 1,5 milioni di euro nel 2018 per scendere poi a 900.000 nel 2019. Che cosa siano, non è dato saperlo. Mentre i debiti verso i fornitori arrivano a toccare 1,4 milioni.
Siamo quindi davanti a un’impresa che arranca? Sì e no.
Il conto corrente bancario segna costantemente un attivo – perfino il 2019 chiude con 500.000 euro in banca – e sia nel 2017 che nel 2018 Attardo, Borriello e Monteleone fanno investimenti immobiliari: un capannone e un appartamento, per un totale di poco più di 400.000 euro.
Altri dettagli interessanti sulla gestione, purtroppo, dagli scarni bilanci, non si possono trarre. Non è per esempio possibile sapere se Attardo, Borriello e Monteleone incassassero o meno rimborsi spese (che sono esentasse), e di quale entità; non si dividono quote dell’irrisorio utile, ma è una pratica comune nelle piccole società. Una cosa però è certa: mentre c’erano soldi in banca e mentre compravano immobili, A, B e M non pagavano l’IVA né l’Irpef/l’Inps dei dipendenti. Di sicuro, avere debiti con lo Stato è preferibile ad averli con le banche o con i fornitori: le prime sono particolarmente rapide a chiudere i rubinetti del credito se la società si mostra insolvente, i secondi lo sono altrettanto a interrompere le forniture se non sono pagati. Lo Stato invece è notoriamente lento. Ciò significa che posso non pagarlo e continuare con la mia attività, come Attardo, Borriello e Monteleone hanno fatto – e se proseguo, nonostante l’accumularsi dei debiti e l’utile societario irrisorio, sarà un’attività che in qualche modo mi porta denaro, poiché d’aria e d’amore non si vive, come dice la saggezza dei nonni.
Se diamo un’occhiata all’altra azienda, AMB, messa in liquidazione coatta amministrativa il 21 giugno scorso, la situazione è similare – pur avendo cifre inferiori dato che è una società minore. Si legge sull’atto del Ministero dello Sviluppo economico: “Emerge una condizione di sostanziale insolvenza in quanto, a fronte di un attivo circolante di 874.315,20 euro, si riscontrano debiti a breve termine di 977.098,46 euro e un patrimonio netto negativo di –221.770,15 euro” e “il grado di insolvenza è rilevabile, altresì, dalla difficoltà dell’ente a onorare il piano di rateizzazione di contributi previdenziali e ritenute erariali in precedenza concordato, nonché […] dal mancato pagamento di retribuzioni”. Anche AMB, dunque, non pagava Irpef e Inps dipendenti e nemmeno gli stipendi.
Ora: con questi numeri, arrivare al fallimento delle aziende era inevitabile. E ben poco c’entra il blocco dell’attività causato dal Covid-19, perché i bilanci analizzati sono precedenti.
Il punto è: una gestione societaria come quella di Ho Group, è lecita? Per rispondere, ci viene in aiuto l’avvocato fallimentare da noi contattato.
“Se gestisco un’impresa già in difficoltà e continuo a fare acquisti di altri beni, materie prime o mezzi strumentali”, spiega l’avvocato, “mentre non pago un creditore privilegiato o addirittura prededucibile come lo Stato, non è di per sé un atto di bancarotta, ma sicuramente è un’azione che può comportare una responsabilità in sede civile. Tuttavia se la società poi fallisce, si apre anche il penale: solo se e quando viene dichiarato fallimento, tutte queste circostanze possono configurarsi come reati di bancarotta”. È la ragione, continua l’avvocato, “per la quale vengono messi stranieri o persone anziane nei ruoli di amministratori: sono persone che non avendo beni non hanno nulla da perdere oppure che, data l’età, non vanno in galera”.
Eccoci qua: Anceschi&Co, ai quali le cinque società sono state vendute a luglio 2020, hanno 86, 77 e 74 anni. Sono le persone anziane che non vanno in galera – due sono anche straniere. Già questo basterebbe per capire le mosse di Attardo, Borriello e Monteleone, ma c’è molto di più.
Scherzi del destino
Diverse fonti ci hanno detto che la crisi da Covid-19 del 2020 è stata solo una scusa per poter piangere miseria davanti ai dipendenti e proporre (gli ennesimi) tombali, ma che la fuoriuscita dalle società era stata preparata fin dal 2019. I bilanci di Ho Group lo confermano: l’accumularsi dei debiti è precedente al blocco dell’attività causato dalla pandemia. Ma abbiamo trovato anche altro che supporta questa ipotesi.
Partiamo dal dettaglio tecnico. Una società deve presentare i bilanci annuali entro aprile dell’anno successivo, o al massimo entro giugno. Attardo, Borriello e Monteleone non depositano il bilancio 2018 di Ho Group entro gli obblighi di legge: viene infatti presentato il 20 luglio 2020, con più di un anno di ritardo, e insieme al bilancio del 2019. Poco male, in termini di conseguenze: per la mancata puntualità sono infatti previste solo sanzioni amministrative, pare poco più di 1.000 euro, cifra che certamente non toglie il sonno a persone che già devono allo Stato milioni di euro. È la mossa che apre i giochi.
Il ritardo permette infatti che ad approvare entrambi i bilanci siano i (dobbiamo ancora continuare a chiamarli presunti? Continuiamo pure…) prestanome, in una assemblea soci del 24 agosto 2020. Non solo. Per quanto la vendita di Ho Group sia stata chiusa il 24 luglio 2020, Anceschi&Co firmano anche i due bilanci, che hanno una data (20 luglio) antecedente di quattro giorni al passaggio di proprietà. Se questo sia legale, lo verificherà il commissario liquidatore di Ho Group.
Come primo aspetto, questa tempistica ci dice che a giugno 2019 Attardo, Borriello e Monteleone come minimo temporeggiano, consapevoli di essere nei guai e di dover trovare una soluzione, a meno di considerare un caso del destino la mancata presentazione del bilancio 2018 nei termini di legge e la sua successiva firma e approvazione a opera dei (presunti) prestanome.
In seconda battuta, ciò significa che il super-consulente Colliva, il “Mister Wolf” risolvo problemi, gioca probabilmente un ruolo anche nella stesura di questi due bilanci, poiché Albamonte (2), personaggio collegato a Colliva, entra in scena ad aprile 2019, quando assume il ruolo di liquidatore di Hotel Plus, altra società della galassia HPoint. A meno di considerare anche questo un caso del destino. Oltretutto i bilanci 2018 e 2019 sono approvati dai (presunti) prestanome “presso la sede dell’Unicoop Regionale Emilia Romagna, in Modena, viale A. Corassori 72F”, come indicato dal verbale dell’assemblea soci; già sappiamo che presidente di Unicoop Emilia Romagna è Colliva, e in viale Corassori hanno sede legale diverse realtà a lui collegate e tutte le società della galassia HPoint vendute da A, B e M ai (presunti) prestanome.
Infine, sempre il destino vuole che i bilanci 2018 e 2019 presentino due aspetti curiosi. Data l’estrema sinteticità dei due documenti, è difficile aggiungere qualcosa alla definizione “curiosi”, ma ne riportiamo la singolarità.
Innanzitutto esplodono le “immobilizzazioni immateriali”. Semplificando, per legge la voce raccoglie costi che sono stati sostenuti nell’anno ma sono da ‘spalmare’ su più anni, perché di fatto sono investimenti dai quali la società trarrà benefici anche in futuro: l’esempio classico sono le “spese di ricerca”. Le immobilizzazione immateriali di Ho Group balzano da 382.000 euro nel 2017 a 1 milione di euro nel 2018, per arrivare a 1,5 milioni nel 2019. Cosa sono? Quali costi hanno sostenuto Attardo, Borriello e Monteleone, nel 2018 per 750.000 euro e nel 2019 per 490.000 euro, che non erano imputabili ai singoli due anni ma investimenti per gli anni successivi? Impossibile saperlo. Le due Note integrative riportano una indecifrabile frase, identica per entrambi i documenti: ”Quanto ai costi pluriennali, si tratta di valori stimati in quanto possono emergere successivamente complessità di esecuzione oggetto di accordi ad personam conclusi con il singolo committente, trattandosi di servizi e beni non a carattere standard né di serie, necessitanti di progressive focalizzazioni e messe a punto”.
Già il fatto che i valori siano “stimati” e non certi, perché già sostenuti, è curioso. In ogni caso, quel che possiamo rilevare è come funziona la semplice contabilità aziendale: l’utile di una società è dato dalla differenza tra costi e ricavi, e se i primi superano i secondi ho una perdita; se la perdita è maggiore del patrimonio netto della società (poco più di 46.000 euro per Ho Group nel 2017), o metto denaro dentro la società per coprirla o sono tecnicamente fallito: devo portare i libri in tribunale, con ciò che ne consegue. Le immobilizzazioni immateriali, invece, in quanto investimenti a medio/lungo termine, sono “attività” dello “stato patrimoniale” dell’impresa: in parole povere, sono costi che non incidono interamente sul conteggio dell’utile o della perdita.
Secondo aspetto curioso: per legge, il bilancio annuale depositato contiene anche i dati del bilancio dell’anno precedente, di modo da avere uno sguardo temporale un po’ più ampio per valutare la gestione aziendale. Ora: il bilancio 2018 di Ho Group presenta voci discordanti relative al 2017 rispetto allo stesso bilancio 2017 presentato due anni prima. Nella Nota integrativa si legge: “Alcune voci di bilancio non sono risultate comparabili rispetto all’esercizio precedente; è stato pertanto necessario adattare le seguenti voci […] per una migliore comparabilità con l’esercizio 2018”. Intendiamoci: legalmente si può fare. Ma è curioso che a non “risultare comparabili” siano voci certe come i debiti Inps dipendenti (portati da 433.000 a 551.000 euro) e voci generiche come “altri debiti” (aumentati da 654.000 euro a 1,2 milioni) e “ratei e risconti passivi” (diminuiti da 765.000 euro ad appena 29.000 euro).
Una cosa è sicura: per chiedere lumi su questi aspetti curiosi dei bilanci 2018 e 2019 occorre rivolgersi non ad Attardo, Borriello e Monteleone ma ai (presunti) prestanome che li hanno firmati.
Poiché un elemento è un caso, due elementi possono essere una coincidenza, tre elementi iniziano a sembrare un progetto, abbiamo chiesto all’avvocato chi sia legalmente responsabile di questi bilanci: A, B e M che erano i proprietari di Ho Group negli anni 2018 e 2019 o i (presunti) prestanome che li hanno firmati, approvati e depositati ufficialmente? “Dipende. Una cosa è la culpa eligendo e un’altra è la culpa in vigilando, sono due tipi di responsabilità differenti. Semplificando: la responsabilità è di chi commette le azioni. In particolare per il reato di bancarotta, il reato commissivo riguarda il soggetto che ha commesso l’atto di bancarotta. Per esempio: se è stata creata una posta fittizia in un bilancio, sicuramente la prima fattispecie (culpa eligendo) si compie nel momento in cui viene fatta quella registrazione contabile, e poi prosegue (culpa in vigilando) tutte le volte in cui dovendo fare un controllo, chi deve farlo non lo fa, e mantiene a bilancio quella voce fittizia. Ma al di là del penale, c’è il civile: nel momento in cui un imprenditore, socio o amministratore, compie un atto del genere, è civilmente responsabile dei danni che ha causato alla società”. In parole povere, Attardo, Borriello e Monteleone restano legalmente responsabili di quanto scritto nei bilanci 2018 e 2019, anche se firmati dai (presunti) prestanome. Resta tuttavia aperta una eventualità.
Chi si occupa di bilanci aziendali sa che le scritture contabili di chiusura vengono effettuate a ridosso della presentazione dei bilanci stessi. E in questo caso, i bilanci 2018 e 2019 di Ho Group sono stati depositati e approvati insieme, a luglio/agosto 2020. Abbiamo chiesto all’avvocato: i tre soci precedenti (Attardo, Borriello e Monteleone) possono quindi dichiarare di non aver fatto loro quelle registrazioni contabili? “Sì”, ci ha risposto. E dunque la responsabilità di quei bilanci può essere ascritta ai (presunti) prestanome? “Non lo escludo”, ci ha risposto.
Vedremo come si muoverà il commissario liquidatore di Ho Group.
Tiriamo le somme
- Ho Group non paga regolarmente lo Stato (IVA e Irpef/Inps dipendenti) da anni, ma ha conti correnti bancari in attivo e acquista immobili
- è una gestione societaria che può comportare una responsabilità in sede civile, ma se l’impresa fallisce può comportare il reato penale di bancarotta
- ad aprile/giugno 2019 Attardo, Borriello e Monteleone non presentano il bilancio 2018
- probabilmente Colliva è consulente di A, B e M già ad aprile 2019
- a giugno/luglio 2020 A, B e M tentano di vendere la società a Venus, ma la trattativa non va in porto perché, come ci ha riferito Bonistalli, responsabile commerciale di Venus, “abbiamo chiesto i bilanci della società per valutare l’acquisto e non erano buoni, avevano situazioni precarie che evidentemente andavano avanti già da un po’”
- a luglio 2020 A, B e M vendono quindi Ho Group ai (presunti) prestanome ultra 70enni
- a luglio/agosto 2020 vengono depositati congiuntamente i bilanci 2018 e 2019, entrambi firmati dai (presunti) prestanome; due bilanci che contengono dettagli curiosi;
- a marzo 2021 l’impresa è messa in liquidazione coatta amministrativa, atto di cui si fanno carico i (presunti) prestanome ora proprietari della società
È necessario sottolineare che è ben difficile sostenere sia stata la gestione societaria dei (presunti) prestanome a portare Ho Group nel baratro: perché i bilanci mostrano che il problema debitorio risaliva agli anni precedenti, e perché, si legge nell’atto di messa in liquidazione coatta amministrativa, la “condizione di sostanziale insolvenza” emerge dal bilancio “del 1° settembre 2020”: a quella data i (presunti) prestanome erano proprietari dell’azienda da meno di due mesi, e in quei due mesi l’attività dell’impresa era di fatto semi-congelata a causa del Covid-19.
Se la gestione societaria attuata da Attardo, Borriello e Monteleone possa configurare il reato penale di bancarotta non possiamo saperlo, sarà il commissario liquidatore a stabilirlo. Quel che è certo è che, grazie alla vendita ai (presunti) prestanome, Attardo, Borriello e Monteleone non hanno legato i propri nomi al fallimento di ben tre società: Ho Group, BMA e AMB. Non è un aspetto di poco conto. La persona fallita si ritrova con alcune limitazioni che perdurano fino alla chiusura del procedimento di fallimento – che generalmente dura qualche anno – come il divieto di essere amministratore di società; difficilmente riesce a ottenere credito dalle banche, perché il suo nome compare nella “centrale rischi” e vi può restare iscritto fino a dieci anni dall’apertura della procedura di fallimento. Se poi si configura il reato di bancarotta fraudolenta, per dieci anni la persona fallita non può esercitare un’impresa commerciale né ricoprire uffici direttivi presso qualsiasi impresa. Attualmente, come nulla fosse, Attardo, Borriello e Monteleone sono ancora soci e amministratori di altre società, e a essere falliti sono i (presunti) prestanome.
Ma non è finita…
Resta aperta una questione: vendita e fallimento in capo ai (presunti) prestanome non potevano essere attuate lasciando la sede legale di Ho Group – e di HPoint scarl, AMB, BMA e MBA – a Milano? Perché spostarle a Modena? E perché trasformare le quattro srl in cooperative?
Su questo aspetto torneremo a breve…
1) Salvo il 2018, quando la voce “debiti tributari” si riduce a 900.000 euro
2) A novembre 2020 Diego Albamonte diventa consigliere Cda delle aziende vendute da Attardo, Borriello e Monteleone ai (presunti) prestanome, e tra le diverse altre cariche che ricopre vi è anche quella di presidente CdA del Consorzio Alberto Marvelli, ruolo che è stato più volte di Colliva tra il 2008 e il 2018. Per i dettagli vedi l’articolo di gennaio