Parrique T., Barth J., Briens F., C. Kerschner, Kraus-Polk A., Kuokkanen A., Spangenberg J.H.*
Il Report di European Environmental Bureau analizza la fondatezza del decouplink (disaccoppiamento) tra crescita economica e pressioni ambientali, e il risultato è tanto chiaro quanto sorprendente
Sintesi
È possibile godere sia della crescita economica che della sostenibilità ambientale? Questa domanda è oggetto di un acceso dibattito politico tra la crescita green e i sostenitori della post-crescita. Nell’ultimo decennio, la crescita green ha chiaramente dominato l’elaborazione delle politiche, presso le Nazioni Unite, l’Unione Europea e in numerosi Paesi, con programmi basati sul presupposto che il decouplink (disaccoppiamento) tra le pressioni ambientali e il prodotto interno lordo (Pil) potrebbe consentire una crescita economica futura senza fine. Considerando la posta in gioco, è necessaria un’attenta valutazione per determinare se le basi scientifiche poste a fondamento di questa ipotesi di decouplink siano solide. Questo Report esamina la letteratura empirica e teorica per trovare una risposta.
La conclusione è allo stesso tempo straordinariamente chiara e deludente: non solo non ci sono prove empiriche a sostegno dell’esistenza, su una scala vicina a quella necessaria per affrontare il crollo ecologico, di un disaccoppiamento della crescita economica dalle pressioni ambientali; ma anche, ed è forse più importante, sembra improbabile che tale decouplink possa esserci.
È urgente tracciare le conseguenze di questi risultati in termini di definizione delle politiche, e allontanarsi prudentemente dalla continua ricerca della crescita economica nei Paesi ad alto consumo. Più precisamente, le strategie politiche esistenti volte ad aumentare l’efficienza, devono essere integrate dal perseguimento della sufficienza, ovvero verso il ridimensionamento diretto della produzione economica in molti settori e la parallela riduzione dei consumi; questi due aspetti, insieme, consentiranno il buon vivere entro i limiti ecologici del pianeta.
Secondo gli autori di questo rapporto e sulla base delle migliori prove scientifiche disponibili, solo tali strategie rispettano il “principio di precauzione” della Ue: il principio secondo cui, quando la posta in gioco è alta e gli esiti incerti, si dovrebbe essere prudenti. Il fatto che il decouplink da solo, cioè senza affrontare il problema della crescita economica, non sia stato e non sarà sufficiente a ridurre le pressioni ambientali nella misura richiesta, non è motivo per opporvisi o per eliminare le misure che vanno in quella direzione – senza molte di esse, la situazione sarebbe peggiore. È tuttavia un motivo per nutrire grandi preoccupazioni sull’attenzione predominante alla crescita green da parte dei responsabili politici, poiché si basa sul presupposto errato che è possibile ottenere un disaccoppiamento sufficiente attraverso una maggiore efficienza, senza limitare la produzione e il consumo economici.
Principali risultati della ricerca
La discussione sul decouplink richiede l’utilizzo di un quadro analitico rigoroso. A seconda degli indicatori considerati per tenere conto delle attività economiche e delle pressioni ambientali, nonché della gamma della loro evoluzione, il disaccoppiamento può essere caratterizzato in modi diversi: può essere globale o locale, relativo o assoluto, territoriale o basato sull’impronta ecologica, accadere in un breve o in lungo periodo e, ultimo ma non meno importante, dovrebbe essere messo in prospettiva con soglie ambientali, obiettivi politici e contesto socioeconomico globale, in modo da valutarne l’adeguatezza in grandezza tenendo conto di considerazioni di equità.
La validità del discorso sulla crescita green si basa sul presupposto di un disaccoppiamento assoluto, permanente, globale, ampio e sufficientemente rapido. La letteratura esaminata lo mostra chiaramente: non ci sono prove empiriche che sia attualmente in corso un tale decouplink. Per materiali, energia, acqua, gas serra, suolo, inquinanti dell’acqua e perdita di biodiversità, il disaccoppiamento è solo relativo, e/o osservato solo temporaneamente, e/o solo localmente. Nella maggior parte dei casi, il disaccoppiamento è relativo. Quando si verifica un disaccoppiamento assoluto, si osserva unicamente per periodi di tempo piuttosto brevi, riguardanti solo determinate risorse o forme di impatto, per località specifiche, e con tassi di mitigazione molto ridotti.
Ci sono almeno sette ragioni per essere scettici circa il verificarsi di un decouplink sufficiente in futuro. Ciascuna di esse, presa individualmente, mette in dubbio la possibilità e, quindi, la fattibilità della crescita green. Considerate tutte insieme, appare altamente compromessa, se non palesemente irrealistica, l’ipotesi che il disaccoppiamento consentirà alla crescita economica di proseguire senza un aumento delle pressioni ambientali.
- 1. Aumento della spesa energetica. Quando si estrae una risorsa, vengono generalmente utilizzate prima le opzioni più economiche; l’estrazione degli stock rimanenti diventa quindi un processo ad alta intensità di risorse ed energia, con conseguente aumento del degrado ambientale totale per unità di risorsa estratta.
- 2. Effetti di rimbalzo. I miglioramenti dell’efficienza sono spesso parzialmente o totalmente compensati da una riallocazione delle risorse e del denaro risparmiati verso un consumo maggiore (per esempio, utilizzando più spesso un’auto a basso consumo di carburante), o verso altri consumi che hanno un impatto (per esempio, acquistare biglietti aerei per vacanze remote con i soldi risparmiati dal risparmio di carburante); possono anche generare cambiamenti strutturali nell’economia che inducono consumi più elevati (per esempio, auto più efficienti in termini di consumo di carburante rafforzano un sistema di trasporto basato sull’auto, a scapito di alternative più ecologiche come il trasporto pubblico e la bicicletta).
- 3. Problema di spostamento. Le soluzioni tecnologiche a un problema ambientale possono crearne di nuovi e/o esacerbarne altri. Per esempio, la produzione di veicoli elettrici privati mette sotto pressione le risorse di litio, rame e cobalto; la produzione di biocarburanti solleva preoccupazioni sull’uso del suolo; mentre la produzione di energia nucleare produce rischi nucleari e preoccupazioni logistiche per quanto riguarda lo smaltimento delle scorie nucleari.
- 4. L’impatto sottovalutato dei servizi. L’economia dei servizi può esistere solo al di sopra dell’economia materiale, non al suo posto: i servizi hanno un’impronta ecologica significativa che spesso si aggiunge, anziché sostituirla, a quella delle merci.
- 5. Potenziale di riciclaggio limitato. I tassi di riciclaggio sono attualmente bassi, aumentano lentamente, e generalmente i processi di riciclaggio richiedono ancora una quantità significativa di energia e materie prime vergini. Ancora più importante, il riciclaggio è strettamente limitato nella sua capacità di fornire risorse per un’economia materiale in espansione.
- 6. Cambiamento tecnologico insufficiente e inappropriato. Il progresso tecnologico non mira ai fattori di produzione che contano per la sostenibilità ecologica, e non conduce al tipo di innovazioni che riducono le pressioni ambientali; non è abbastanza dirompente in quanto non riesce a sostituire altre tecnologie indesiderabili, e non è di per sé abbastanza veloce da consentire un disaccoppiamento sufficiente.
- 7. Spostamento dei costi. In alcuni casi locali, ciò che è stato osservato e definito come decouplink era un disaccoppiamento solo apparente, derivante principalmente da una esternalizzazione dell’impatto ambientale da Paesi ad alto consumo a Paesi a basso consumo, consentita dal commercio internazionale. La contabilità in base all’impronta ecologica rivela un quadro molto meno ottimista e getta ulteriori dubbi sulla possibilità di un disaccoppiamento coerente in futuro.
Questo Rapporto evidenzia la necessità di una nuova cassetta degli attrezzi concettuale per informare e supportare la progettazione e la valutazione delle politiche ambientali. I decisori politici devono riconoscere il fatto che affrontare il dissesto ambientale può richiedere una riduzione diretta della produzione e dei consumi economici nei Paesi più ricchi. In altre parole, gli autori del Report sostengono una complementarità tra politiche orientate all’efficienza e politiche di sufficienza, con uno spostamento della priorità e dell’enfasi dalle prime alle seconde, anche se entrambe hanno un ruolo da svolgere. Da questo punto di vista, appare urgente che i responsabili politici prestino maggiore attenzione e sostengano lo sviluppo di differenti alternative alla crescita green.
Introduzione
La crescita economica è compatibile con la sostenibilità ecologica? Quasi mezzo secolo dopo la pubblicazione del rapporto Meadows “Limiti alla crescita” e la lettera di Sicco Mansholt al Presidente della Commissione europea in difesa di un allontanamento dal perseguimento della crescita economica, nel 1972, il rapporto tra il Prodotto interno lordo (Pil) ) e le pressioni ambientali resta oggetto di un acceso dibattito politico. Due sono la parti principali. I fautori di quella che è stata chiamata ‘crescita green’, sostengono che il progresso tecnologico e il cambiamento strutturale consentiranno un disaccoppiamento tra il consumo di risorse naturali e gli impatti ecologici dalla crescita economica. D’altra parte, i sostenitori della ‘decrescita’ o della ‘post-crescita’ affermano che, poiché un’espansione infinita dell’economia è fondamentalmente in contrasto con una biosfera finita, la riduzione delle pressioni ambientali richiede un ridimensionamento della produzione e dei consumi nei Paesi più ricchi, che dovrebbe comportare una diminuzione del Pil rispetto ai livelli attuali. Da un lato, i sostenitori della crescita green si aspettano un’efficienza in grado di produrre più beni e servizi a un costo ambientale inferiore; dall’altro, i fautori della decrescita fanno appello alla sufficienza, sostenendo che meno beni e servizi è la strada più sicura per la sostenibilità ecologica.
Oggi la narrativa della crescita green domina la maggior parte dei circoli politici. Nel 2001, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) ha ufficialmente adottato il decouplink come obiettivo, che in seguito ha giocato un ruolo chiave nella sua strategia Towards Green Growth (Verso una crescita verde, 2011) (1).
È stata poi seguita dalla Commissione europea che, nel suo sesto Programma di Azione Ambientale Environment 2010: Our Future, Our Choice (Ambiente 2010: il nostro futuro, la nostra scelta), ha annunciato l’obiettivo di “spezzare il vecchio legame tra crescita economica e danno ambientale”. L’impegno di “disaccoppiare la crescita dall’uso delle risorse” è stato ripetuto nella tabella di marcia della Ue verso un’Europa efficiente nell’uso delle risorse (2011) e nella strategia del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP) sull’economia verde (2011), dove si prevedeva che la crescita verde “riducesse significativamente i rischi ambientali e le scarsità ecologiche” (2).
Subito dopo, la Banca Mondiale si è unita al carrozzone con Inclusive Green Growth: The Pathway to Sustainable Development (Crescita verde inclusiva: la via dello sviluppo sostenibile, 2012) (3).
Dal 2012, il settimo Programma di Azione Ambientale che guida la politica ambientale della Commissione europea fino al 2020, Living well, within the limits of our planet (Vivere bene, entro i limiti del nostro pianeta, 2013) chiede “un disaccoppiamento assoluto tra crescita economica e degrado ambientale”. E nel 2015 il decouplink è diventato un obiettivo specifico negli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile.
La crescita green ha dominato la discussione e ha impostato la maggior parte dell’agenda ambientale basata sull’aspettativa di un disaccoppiamento tra crescita economica e pressioni ambientali. Una situazione con una posta in gioco così alta, richiede un’attenta valutazione per determinare se le basi scientifiche dietro l’ipotesi del decouplink siano solide. È l’argomento di questo Report e, come indica chiaramente il titolo, abbiamo riscontrato un supporto teorico ed empirico insufficiente per giustificare le speranze attualmente riposte nel disaccoppiamento.
La letteratura sul decouplink è abbondante. A partire dal 2011, l’UNEP ha prodotto una serie di rapporti sull’argomento. La ricerca delle parole chiave “disaccoppiamento della crescita economica” su Scopus fornisce più di 600 articoli, la maggior parte dei quali empirici. Su un argomento così controverso, ci si aspetterebbe un’ampia divergenza nei risultati. Tuttavia, come mostreremo nella seconda sezione di questo rapporto, i disaccordi all’interno di tale letteratura derivano principalmente da lievi variazioni nel modo in cui il decouplink è definito e misurato. Una volta messe da parte queste stranezze metodologiche, i risultati convergono nel mostrare che non ci sono prove solide che giustifichino l’idea del disaccoppiamento come singola o principale strategia politica, come è attualmente promossa dai sostenitori della crescita green.
Il Report è organizzato in tre sezioni. Innanzitutto, definiamo cosa significa decouplink e specifichiamo le diverse forme che può assumere; il punto principale è che dietro un termine si nascondono diversi significati o situazioni, alcuni dei quali più desiderabili di altri. Nella seconda parte esaminiamo la letteratura empirica sull’argomento, per valutare se ci sono prove o meno di un disaccoppiamento avvenuto in passato: la nostra scoperta è che le attuali conoscenze scientifiche non supportano l’ipotesi del tipo di decouplink che sarebbe necessario per affrontare efficacemente il cambiamento climatico e altre crisi ambientali. Infine nella terza sezione discutiamo delle probabilità che si verifichi il disaccoppiamento in futuro, e scopriamo che sono troppo scarse per giustificarne il focus nel processo politico decisionale. In conclusione, l’affermazione principale del presente Rapporto è che la crescita green, cioè la crescita economica sufficientemente disaccoppiata dalle pressioni ambientali, non è possibile, e non dovrebbe quindi essere l’obiettivo primario della politica ambientale.
Sezione UNO. Che cos’è il decouplink?
Una discussione costruttiva richiede di partire da definizioni esplicite e di chiarire alcune sottigliezze terminologiche e metodologiche, relative a che tipo di indicatori economici e ambientali sono considerati e come sono statisticamente correlati; a quale scala, magnitudine e disaccoppiamento temporale può verificarsi o meno; nonché per quali risultati in termini di raggiungimento di obiettivi sociali e ambientali.
1. Disaccoppiamento relativo e assoluto
In generale, due variabili si dicono accoppiate se una è guidata dall’altra, facendole evolvere proporzionalmente (per esempio, più di A significa più di B); e si disaccoppiano quando smettono di farlo. Quando accoppiate, sia le variabili guidate che quelle guida si muovono di pari passo, il che significa che evolvono proporzionalmente nel tempo; il disaccoppiamento si riferisce invece a una variazione nel tempo del coefficiente di proporzionalità, corrispondente a una tendenza di de-sincronizzazione tra le due variabili.
Questo decouplink può essere relativo o assoluto (chiamato anche debole o forte). Relativo significa che entrambe le variabili si sviluppano ancora nella stessa direzione ma non alla stessa velocità (molto più di A significa un po’ più di B), assoluto vuol dire che le due variabili vanno in direzioni opposte (più di A e meno di B ). Valutare il disaccoppiamento significa stimare la perdita di proporzionalità di una variabile rispetto all’altra (o più precisamente gli andamenti variabili) nel tempo.
Il decouplink relativo, per esempio, tra il Pil e le emissioni di carbonio, si riferisce a una situazione in cui le emissioni per unità di produzione economica (il coefficiente di proporzionalità) diminuiscono ma non “abbastanza velocemente” per compensare l’aumento simultaneo della produzione nello stesso periodo, con conseguente aumento complessivo delle emissioni totali. Dunque, sebbene l’economia, rispetto a prima, abbia un impatto ambientale relativamente minore per unità di Pil, il volume assoluto delle emissioni è comunque aumentato.
Il decouplink assoluto è la situazione in cui, per mantenere lo stesso esempio, più Pil coincide con minori emissioni. Il disaccoppiamento relativo diventa assoluto quando il tasso di crescita dell’economia è sovracompensato dal tasso di crescita dell’efficienza o della produttività che ha a che fare con l’uso delle risorse naturali e la produzione di inquinamento – una soglia a volte indicata come il “punto di disaccoppiamento assoluto”. Quando il disaccoppiamento è assoluto, le pressioni ambientali diminuiscono senza un corrispondente calo delle attività economiche, o viceversa, le attività economiche aumentano senza un aumento delle pressioni ambientali.
2. La variabile trainante: il prodotto interno lordo
Nel disaccoppiamento della crescita economica dalle pressioni ambientali, il primo termine si riferisce a una misura dell’attività di mercato, il più delle volte al Prodotto interno lordo (Pil) (4). Il Pil è una misura del valore di mercato aggregato di tutti i beni e servizi finali prodotti in un Paese in un dato periodo (spesso annuale), ed è la variazione di quel valore che si chiama ‘crescita economica’. Il calcolo del Pil è un processo intricato risultante da una serie di convenzioni, e coinvolge una serie di sottigliezze che hanno a che fare con cosa includere e cosa escludere e come misurarlo. Dalla sua creazione negli anni ‘30, il Pil è stato criticato per molti motivi. Sebbene questo non sia lo spazio per passare in rassegna tali critiche, si dovrebbe comunque affermare che il primato di questo indicatore riflette una cornice ristretta, potenzialmente problematica, della prosperità. Ciò premesso, nel nostro contesto, è importante prendere in considerazione l’evoluzione del Pil in volume o ‘Pil reale’, vale a dire correggere il Pil dall’inflazione.
3. La variabile guidata: risorse e impatti
Le pressioni ambientali comprendono tutte le conseguenze che un’economia ha sulla natura. Seguendo UNEP, è possibile distinguere tra uso delle risorse e impatto ambientale.
Il disaccoppiamento dalle risorse è un decouplink dell’attività di mercato dal volume della risorsa utilizzata (cioè estratta dall’ambiente), per esempio grazie a miglioramenti dell’efficienza o a un migliore riciclaggio, che consentono entrambi una minore estrazione. Significa che la stessa o una maggiore produzione in termini monetari può essere prodotta con meno input materiali. Il termine ‘risorsa’ si riferisce qui a “beni naturali deliberatamente estratti e modificati dall’attività umana per la loro utilità di creare valore economico” (UNEP) (5). In questo Report divideremo le risorse naturali utilizzate per le attività economiche in quattro categorie: materiali (6), energia, acqua e terra (le ultime due definite in senso ampio, in modo da includere la biodiversità e i relativi servizi ecosistemici). Queste risorse possono essere misurate utilizzando diversi indicatori basati sulla produzione (es. estrazione domestica, fornitura di energia primaria, occupazione del suolo) o basati sul consumo (es. impronta materiale, impronta energetica, impronta idrica o impronta ecologica).
L’impatto del disaccoppiamento si riferisce a un decouplink del Pil dagli impatti ambientali, ovvero una diminuzione del danno ambientale per unità di produzione economica. Gli impatti ambientali possono assumere varie forme, come rifiuti che disturbano la vita marina o inquinanti che incidono sulla salute umana e animale, disturbi dei processi naturali (ad es. cicli di azoto, fosforo, carbonio e acqua dolce) o perdita di biodiversità. Di solito c’è un legame tra l’uso delle risorse e l’impatto ambientale; per esempio, estraendo e utilizzando più combustibili fossili (risorsa) si generano emissioni di CO2, contribuendo al cambiamento climatico (impatto). Sebbene la maggior parte degli studi empirici si concentri sui cambiamenti climatici e sulle emissioni di gas serra, qualsiasi effetto deleterio sulla biosfera può essere preso in considerazione come una variabile ambientale (per esempio l’inquinamento luminoso che porta alla perdita di biodiversità, l’inquinamento dell’acqua che porta all’eutrofizzazione).
In questo Report faremo riferimento a un decouplink complessivo per i casi in cui si verifica un disaccoppiamento tra il Pil e tutti gli indicatori selezionati, sia l’uso delle risorse che l’impatto ambientale; e faremo riferimento a un decouplink parziale per i casi in cui uno o più indicatori ambientali si disaccoppiano dal Pil mentre l’accoppiamento permane o si intensifica per altri indicatori.
4. Scala: globale o locale
Il disaccoppiamento può essere discusso prendendo in considerazione diversi perimetri geografici. Il decouplink locale si riferisce ai casi in cui si osserva il disaccoppiamento tra variabili relative a un perimetro geografico ristretto (per esempio un paese o un bacino idrico), mentre il decouplink globale corrisponde al disaccoppiamento tra due variabili su scala planetaria (ad es. Pil mondiale ed emissioni mondiali di gas serra) (7).
La rilevanza dell’utilizzo di indicatori locali o globali dipende dalla natura della pressione ambientale considerata e dalle sue cause. Per esempio, per studiare questioni locali, come l’eutrofizzazione del Mar Baltico, le cui cause dirette sono localizzate in un’area geografica piuttosto ben definita, ha senso utilizzare indicatori locali, limitati, per esempio, al perimetro dello spartiacque. Tuttavia, questioni globali come il cambiamento climatico richiedono generalmente indicatori globali, poiché i gas serra sono inquinanti transfrontalieri e il cambiamento climatico è un fenomeno planetario.
In un mondo globalizzato, è importante la scelta dei confini considerati per il sistema oggetto di studio. La globalizzazione e l’espansione del commercio internazionale hanno portato a una dissociazione spaziale tra i luoghi di estrazione, produzione e consumo, rendendo più difficile determinare chi è il responsabile e di quali impatti. In tale contesto, basato sugli indicatori di produzione (chiamati anche territoriali), che si riferiscono alle aree geografiche piuttosto che alle popolazioni, non possono riflettere responsabilità, e sono in quanto tali insufficienti. Un approccio più completo consiste nel guardare in base agli indicatori di consumo (chiamati anche impronta), nei quali gli impatti concreti delle fasi di produzione e fine vita dei beni e servizi scambiati sono riallocati geograficamente ai consumatori finali. Infatti, non tenere conto delle risorse mobilitate e degli impatti generati all’estero, può portare a rilevare un apparente disaccoppiamento a livello locale per i Paesi importatori, che traslocano all’estero attività impattanti; al contrario, approcci sulla base di indicatori territoriali potrebbero sottovalutare il disaccoppiamento, nel caso di Paesi esportatori che ospitano attività impattanti destinate al consumo di altre nazioni.
5. Durata: temporanea o permanente
Proprio come il perimetro geografico, il periodo di tempo di uno studio di disaccoppiamento è importante. In effetti, mitigare le pressioni ambientali in un’economia in crescita non solo implica il raggiungimento del disaccoppiamento assoluto dal Pil, ma richiede anche il mantenimento di tale decouplink nel tempo, finché l’economia cresce. Detto diversamente, la continua crescita economica richiede un permanente disaccoppiamento assoluto tra Pil e pressioni ambientali; altrimenti, come crescita economica e pressioni ambientali possono registrare un disaccoppiamento a un certo punto temporale, possono anche avere un ri-accoppiamento più tardi. Come dimostrano spesso studi empirici, il decouplink può essere temporaneo, determinando un ulteriore aumento delle pressioni ambientali dopo un momentaneo sollievo. In letteratura, questa situazione è rappresentata da una curva a forma di N e talvolta indicata come ricongiungimento o relinking, che indica un delinking delle pressioni ambientali dalla crescita economica, in relazione all’aumento dei redditi pro capite. La probabilità che tale relazione sia persistente viene discussa nel contesto di un semplice modello macro del metabolismo industriale, ed emerge chiaramente la possibilità di un relinking, basato su indicatori specifici delle pressioni ambientali (ossia il flusso di materiali, l’energia e il volume dei trasporti).
Tale modello può, per esempio, derivare da un grande spostamento delle fonti di energia. Per esempio, il passaggio della Cina dal carbone al petrolio e al gas, e l’aumento nel mix energetico della quota di gas naturale importato dagli Stati Uniti, hanno causato un livellamento temporaneo delle emissioni globali nel 2015 e nel 2016, riportato dall’Agenzia internazionale per l’energia (AIE). Ma questo disaccoppiamento è stato di breve durata: una volta completato il passaggio e speso il corrispondente potenziale di decouplink, le emissioni si sono ri-accoppiate con la crescita economica (+1,6% nel 2017 e +2,7% nel 2018). Un altro esempio comune di disaccoppiamento temporaneo è la crisi finanziaria globale del 2007-2008 che, come vedremo in dettaglio nella Sezione Due del Report, ha momentaneamente ridotto le pressioni ambientali.
Dal punto di vista della sostenibilità ecologica, il tipo di disaccoppiamento necessario è quello permanente e non il temporaneo. In effetti, non ha molto senso ridurre drasticamente l’uso delle risorse o le emissioni nel breve termine, per poi ripiegare su un percorso di maggiore intensità biofisica a lungo termine. Inoltre, il disaccoppiamento temporaneo ha solo un effetto marginale sulle pressioni ambientali derivanti dagli impatti cumulativi, un effetto che si riduce semplicemente a un ritardo temporale. I risultati degli studi sul disaccoppiamento dovrebbero quindi essere messi in prospettiva con il periodo di tempo considerato, perché quello che su un breve periodo potrebbe sembrare un decouplink (curva a forma di U invertita) potrebbe apparire diverso su un periodo più lungo (curva a forma di N).
6. Grandezza: sufficiente o insufficiente
Un aumento del 3% del Pil con un calo del 2% delle emissioni totali di gas serra è per definizione un disaccoppiamento assoluto, ma lo è anche un aumento del 3% del Pil con un calo delle emissioni dello 0,02%. È chiaro che il primo è più desiderabile se l’obiettivo è mitigare il cambiamento climatico. Il nostro punto è il seguente: il successo di una strategia di decouplink dovrebbe essere valutato in relazione a specifici obiettivi ambientali e non in termini di astratte elasticità di disaccoppiamento, come spesso avviene in letteratura. Una volta definiti tali obiettivi, si può quindi parlare di disaccoppiamento insufficiente o sufficiente nel raggiungerli – es. “disaccoppiamento assoluto entro i confini planetari”.
Inoltre, parlare di emissioni o di produttività delle risorse misurata in emissioni/risorsa per unità di Pil, oscura il fatto che la maggior parte dei problemi ambientali sono causati da impatti cumulativi e assoluti di diversi fattori. In realtà, ciò non implica solo che, per essere efficace, il disaccoppiamento richiesto dovrebbe coprire sia l’uso delle risorse che gli impatti, in entrambe le dimensioni come decouplink assoluto, globale e permanente, ma dovrebbe anche essere un decouplink sufficientemente veloce. Molto prima di essere esaurite, le risorse non rinnovabili scarseggiano e possono creare conflitti o esacerbare quelli già esistenti. L’adattamento è ancora più difficile in caso di sovraccarico dell’ecosistema; una volta sopraffatto – cioè se i punti di non ritorno sono stati superati – può crollare o trasformarsi in un diverso tipo di sistema (ad es. un’area forestale che diventa savana). Entrambi i tipi di danno – esaurimento e collasso – sono spesso irreversibili su una scala temporale rilevante per l’uomo. Anche se è difficile da misurare, si può considerare sufficientemente veloce il decouplink quando il punto di disaccoppiamento assoluto viene raggiunto prima di superare le soglie irreversibili di danno, come i nove confini planetari individuati da Rockström (2009), Steffen (2015) e Steffen (2018) (8).
Il cambiamento climatico fornisce un buon esempio di una scadenza difficile per il disaccoppiamento a impatto assoluto. Con un budget globale di carbonio stimato a 580 GtCO2, che si sta attualmente esaurendo al ritmo di 42 GtCO2 all’anno, ai tassi di emissione attuali lascia meno di quindici anni. Raggiungere entro il 2040 lo zero netto di CO2 di natura antropogenica, necessario per limitare il riscaldamento globale a 1,5°, con un alto livello di sicurezza richiede una riduzione annua di almeno il 5% delle emissioni attuali. Seguendo questa traiettoria, la previsione durerà vent’anni e le emissioni saranno pari a zero alla fine del periodo, con un calo del 45% delle emissioni globali entro il 2030 come obiettivo intermedio (IPCC, 2018). Alla luce di questo vincolo, e come mostreremo nella Sezione Due di questo Report, anche la diminuzione delle emissioni ottenuta nei casi nazionali di maggior successo di disaccoppiamento assoluto sono ben lontani dall’essere sufficienti per evitare che il riscaldamento globale superi la soglia critica.
L’urgenza non riguarda solo l’impatto ma anche le risorse. La conservazione delle risorse non rinnovabili è una questione di equità intra- e inter- generazionale. Ogni risorsa non rinnovabile utilizzata in un luogo è una risorsa che non sarà disponibile in un altro luogo, e ogni risorsa non riciclabile utilizzata oggi è una risorsa che non sarà disponibile domani. Per quanto riguarda quelle rinnovabili, la soglia del consumo sostenibile è fissata dai tassi di ricostituzione di quella risorsa (es. evitare che uno stock ittico si esaurisca fino all’estinzione o il collasso della struttura del suolo). Quindi, quando l’UNEP (2014) conclude il suo rapporto affermando che “è possibile il disaccoppiamento assoluto della crescita economica dall’uso delle risorse”, vogliamo sottolineare che sono l’entità e la tempistica di tale disaccoppiamento che sono in gioco, più che la sua mera esistenza statistica.
7. Equità nell’allocazione degli sforzi di disaccoppiamento
L’ultima dimensione si aggiunge alla precedente e riguarda il concetto di “responsabilità condivise ma differenziate”, che figura negli accordi sul clima sin dalla prima volta in cui sono stati concordati, alla Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo (UNCED), a Rio, nel 1992. Il decouplink ha bisogno di essere sufficientemente ampio nei Paesi ricchi, al fine di liberare lo spazio ecologico necessario per la produzione e il consumo nelle regioni in cui i bisogni primari non sono soddisfatti.
Il fatto che ci siano milioni di persone nel mondo che non hanno accesso ai mezzi per soddisfare i loro bisogni primari, mette ulteriori pressioni sulle nazioni ricche per ridurre il più possibile le pressioni ambientali, in modo da dare il più largo margine di manovra alle comunità vulnerabili. Se portare i ‘poveri globali’ a un livello di reddito di 3-8 dollari USA al giorno consumerà, di per sé, il 66% dei 2° centigradi disponibili come budget globale di carbonio, allora per le nazioni ricche è imperativo lasciar andare il restante spazio del budget climatico. Meyer-Ohlendorf (2018) calcolano che, se la quota del bilancio del carbonio è derivata dai numeri della popolazione del 2050 per rappresentare meglio l’equità, l’attuale obiettivo dell’Ue per il 2030 dovrebbe quasi raddoppiare, dal 40% di riduzione delle emissioni al 71%. Infatti, anche se i tassi metabolici dei Paesi industrializzati rimanessero stabili ai livelli del 2000 (il che implicherebbe già un disaccoppiamento assoluto), il recupero del resto del mondo, utilizzando le attuali tecnologie, quadruplicherebbe di per sé le emissioni globali entro il 2050, il che corrisponde ai livelli considerati catastrofici nell’ultimo rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC, 2018).
E ancora, in un mondo di risorse limitate, i tempi del picco di impatto sono importanti, poiché lo “spazio operativo sicuro” potrebbe non essere abbastanza grande da consentire a ogni nazione di raggiungere il picco in una logica di “cresci ora, ripulisci dopo”. Per esempio, Storm e Schröder (2018) stimano che se la Cina si sviluppasse lungo il percorso della curva ambientale di Kuznets (EKC), basata sulla produzione di emissioni di CO2, esaurirebbero l’intero bilancio mondiale del carbonio prima ancora di raggiungere l’ipotetica svolta. Si può considerare il decouplink nei Paesi ricchi abbastanza ampio se compensa l’aumento dell’impronta ecologica delle nazioni più povere, riuscendo comunque a disaccoppiare in modo assoluto e permanente la crescita economica globale dalle pressioni ambientali, a un ritmo sufficientemente veloce da evitare di superare le soglie ambientali di sicurezza (9).
Conclusioni per la Sezione Uno
Come abbiamo mostrato in questa sezione, il disaccoppiamento può essere definito e misurato in diversi modi. Di conseguenza, condurre una revisione della letteratura sul decouplink richiede una serie di precauzioni.
In primo luogo, dovrebbe essere chiaro che cosa viene disaccoppiato e da che cosa, specificando gli indicatori scelti per tenere conto delle attività economiche e delle pressioni ambientali. In particolare, si dovrebbe considerare se questi indicatori sono globali o locali, e la loro scala: se riflettono approcci territoriali (basati sulla produzione) o sull’impronta (basati sul consumo). Quindi è importante se il disaccoppiamento viene studiato e discusso in termini relativi o assoluti, e in un breve o lungo periodo di tempo (durabilità). Infine, ma non meno rilevante, qualsiasi disaccoppiamento osservato dovrebbe essere messo in prospettiva con le soglie ambientali pertinenti, e all’interno di un contesto politico più ampio, per valutare se riesce a raggiungere gli obiettivi di mitigazione (grandezza) in modo ritenuto giusto (equità).
Basandosi su questo quadro analitico, la sezione successiva propone una revisione della letteratura empirica esistente sul decouplink.
… continua…
Qui la seconda parte del Report
Qui la quarta e ultima parte del Report
*Decouplink Debunked, Evidence and arguments against green growth as a sole strategy for sustainability, luglio/ottobre 2019. Report pubblicato da European Environmental Bureau, un’associazione internazionale no-profit composta da una rete europea di 180 organizzazioni ambientaliste di 38 Paesi. Il Report è sotto diritti Creative Commons https://meta.eeb.org/ about/ e la traduzione in italiano è a cura di Paginauno. Il Report è pubblicato suddiviso in quattro parti.
1) Che ha definito come la “rottura del legame tra ‘mali ambientali’ e ‘beni economici’”
2) “Un concetto chiave per inquadrare le sfide che dobbiamo affrontare nella transizione verso un’economia più efficiente sotto il profilo delle risorse è il decouplink. Poiché la crescita economica globale sconfina nei limiti del pianeta, disaccoppiare la creazione di valore economico dall’uso delle risorse naturali e dagli impatti ambientali diventa più urgente.” “Obiettivo 8.4: migliorare progressivamente, entro il 2030, l’efficienza globale delle risorse nel consumo e nella produzione e, con in testa i Paesi sviluppati, e in conformità con il quadro decennale dei programmi sul consumo e la produzione sostenibili, cercare di dissociare la crescita economica dal degrado ambientale”
3) Per la Banca Mondiale, la crescita verde inclusiva è “crescita economica efficiente nell’uso delle risorse naturali, pulita in quanto riduce al minimo l’inquinamento e gli impatti ambientali, e resiliente in quanto tiene conto dei rischi naturali e del ruolo della gestione ambientale e del capitale naturale nella prevenzione di disastri fisici”
4) Esistono altri modi per quantificare l’attività economica, come l’orario di lavoro totale o l’occupazione aggregata; una piccola minoranza di studi sul disaccoppiamento si concentra su indicatori più comprensivi come l’indice di sviluppo umano, l’indice del benessere economico sostenibile, la soddisfazione dei bisogni appaganti e del benessere umano. In questo Report, tuttavia, ci concentriamo solo sulla crescita economica misurata come aumento del Pil, poiché viene misurata come tale nella grande maggioranza degli studi sul disaccoppiamento
5) Il modo in cui si contabilizzano le risorse è importante. Per esempio, l’inclusione dell’estrazione di materiali inutilizzati (i materiali e l’energia usati, spostati o danneggiati nel processo di estrazione stesso) spesso porta a volumi calcolati di qualche ordine di grandezza superiore rispetto al solo conteggio degli input per il processo di produzione stesso. Nel caso del Cile, per esempio, la bilancia commerciale materiale del 2003 passa da esportazioni nette di 1 milione di tonnellate in termini di flussi diretti, a esportazioni nette di 634 milioni di tonnellate, se calcolata includendo i materiali di estrazione non utilizzati
6) I materiali possono essere ulteriormente suddivisi in categorie più dettagliate come, per esempio, biomassa, vettori energetici fossili, minerali, minerali industriali e minerali da costruzione
7) Si potrebbe anche andare oltre e differenziare diversi livelli locali: macroeconomico (prendendo per esempio in considerazione l’intera attività nazionale), settoriale (un settore specifico dell’economia) e microeconomico (impresa singola, città, famiglia); in questo Report non sarà fatto perché la maggior parte degli studi empirici sono nazionali, regionali e globali
8) Per essere precisi, c’è da dire che le pressioni ambientali che si verificano dopo il punto di disaccoppiamento, anche se in diminuzione, contano ancora. Dovrebbero essere lasciate sufficienti risorse o budget di carbonio (o qualsiasi altra misura di risorse e impatti) per potersi permettere la discesa dal picco rimanendo ancora entro le soglie di stabilità dell’ecosistema
9) Questa è una questione morale, non tecnica: il nostro punto principale qui, è che un obiettivo astratto di disaccoppiamento è privo di senso se non connesso a obiettivi ambientali concreti, che dovrebbero essere a loro volta basati su considerazioni morali